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CUCINA ITALIANA_2021

이탈리아 농부의 장엄한 전통 맛집 여행,viaggio nella tradizione di una citta gastronomica maestosa e contadina



 www.tsori.net


viaggio nella tradizione di una citta gastronomica maestosa
-이탈리아 농부의 장엄한 전통 맛집 여행-



세상에서 가장 위대하고 아름다운 어머니의 손...!


두 손으로 잘 숙성된 반죽을 떼 내는 사진 한 장을 보는 순간 어머니의 손을 떠 올렸다. 당신께선 칠남매를 키우시느라 얼마나 고생하셨으면 두 손이 너무 억세게 변했다. 뼈마디는 불거지고 피부는 또 얼마나 거친 지...그런 어머니가 세상에서 제일 위대하다는 것을 깨닫았을 때 당신께선 우리로부터 점점 더 멀어지셨다. 그리고 어느날 홀연히 하늘나라로 떠나신 것. 생전에 좀 더 잘해드리지 못한 게 늘 후회스럽다.


사진 한 장에 나타난 두 손은 비록 먼 나라에서 살아가고 있는 이름 모를 어머니의 손이다. 하지만 세상 모든 어머니의 손은 모두 다 위대한 것. 웹서핑을 하다가 만난 사진속의 이야기는 '이탈리아 농부의 장엄한 전통 맛집 여행-필자주-'으로 소개된 것. 요즘은 남자 요리사들이 부쩍 눈에 띄는 세상이지만, 주방 혹은 부엌은 전통적으로 어머니 혹은 여성들의 몫이었다.


밀가루를 반죽해 숙성 시키고 그 반죽을 장작 오븐에 구워낸 빵과 케잌 등 밀가루로 만든 전통 음식들은 현대식 장비로 가득한 주방 시설과 달리 또다른 맛을 낸다. 장작불은 오븐을 데울 뿐만 아니라 그 열기로 난방을 하며 난로 위에서 음식을 조리하는 것. 장작의 종류에 따라 집 안의 향기 조차 다를 정도며 아침과 저녁 나절 굴뚝에서 피어오르는 푸르스름한 연기는 보는 것만으로 정겨웠다.


본문을 더듬더듬 읽어내려가자니 정작 어느 이탈리아 농부의 장엄한 전통 맛집 여행을 떠나는 게 아니라,어느날 정지(부엌)에서 장작불을 떼시던 어머니의 모습과 유년기의 모습이 아련히 떠오르는 것. 전통 음식은 그런 게 아닐까. 그래서 전통음식이란 세상에서 가장 위대하고 아름다운 어머니의 손맛을 느낄 수 있는 것. 바쁘게 사는 현대인들이 목말라 하는 게 '어머니의 손맛'이자 '집밥'인 것 같다. 물론 이곳 시칠리아 혹은 이탈리아에서는 어머니의 손으로 빚은 참 맛있는 빵 같다.

이탈리아어 내가 꿈꾸는 그곳 보기


<어머니의 손 자료사진 DA http://m.thecontest.co.kr/contest/contest_board_view.php?ccont_id=10982&cnst_id=323&cate=002&stat=3>

*농사철에는 농사를 짓고 나물을 뜯어서 오남매를  공부 시키셨다는 훌륭한 엄마의 손입니다.  손이 다 망가져도 자식을 위하는 엄마의마음,  그 누가알까요?


viaggio nella tradizione di una citta gastronomica maestosa e contadina:Scicli.tra ricette perdute e pitti evergreen


La cucina tradizionale è la carta d’identità di un popolo. In essa è possibile conoscere la sua vera anima, l’identità stratificata nei secoli dal gusto dei popoli che si sono susseguiti. Ha sempre accompagnato l’umanità, come risposta alla necessità di mediare la realtà oggettiva degli innumerevoli alimenti disponibili con le sensazioni gustative che, una volta ingeriti, riescono ad evocare.


La riscoperta degli antichi sapori inizia ad essere un viaggio intrapreso da molti, un tentativo di recupero di una dimensione armonica con la qualità dei cibi e il rispetto dell’ambiente, un’evasione dalla sfrenata corsa della società dei consumi alla ricerca di cibi e sapori sempre nuovi e sofisticati.


Provando a intraprendere un breve viaggio nella cucina tradizionale di Scicli, gioioso angolo incantato della Sicilia barocca, troveremo aglio, cannella, chiodi di garofano, vaniglia, caciocavallo, carrube, “diavolina”, ranza (crusca), maiorca e maiorchino (tipologie di farina di grano tenero usate per i dolci), mandorle, miele, mosto, semi di finocchio, pomodoro, prezzemolo, sugna (preparata dalla fusione del grasso di maiale, veniva impiegata per friggere al posto dell’olio e si conservava dentro recipienti di terracotta o dentro la vescica del maiale stesso), scorza di agrumi, tuma, zafferano.


Tutti ingredienti rielaborati in ricette che incarnano un autentico meticciato gastronomico tra popoli molto diversi tra di loro, con contaminazioni arabe (soprattutto magrebine) che si sovrappongono a quelle dei popoli da ogni angolo dell’Europa continentale: pezzi di buongusto francese, spagnolo, marocchino che incontrano le sensibilità più moderne.


Per brevità non possiamo dilungarci nella spiegazione di ogni singolo piatto: abbiate, pertanto,  la bontà di accontentarvi di vivaci e sbrigative pennellate che – speriamo – susciteranno in voi la voglia di voler assaggiare in prima persona queste delizie che raccontano gli sciclitani, le tradizioni tramandate di generazione in generazione. Gente di mare, da sempre dominata dai popoli che hanno solcato il Mediterraneo nel corso dei secoli, latina, solare, dedita all’agricoltura. Dunque la cucina non può non essere semplice e fantasiosa, come lo è quella contadina legata al ciclo delle stagioni.


Il rito attorno al quale si articolava il mondo colorato e denso di profumi della cucina contadina sciclitana era quello della produzione del pane. Una volta alla settimana, con farina di crusca (ranza) e, più raramente, con farina bianca il pane veniva scaniatu, cioè lavorato a mano con un vero e proprio rito tra uomo e donna, nel quale lui abbassa una pesante sbarra di legno (u sbriuni) e lei gira il grande impasto mentre lui va giù, seduta sul piano da lavoro di legno (a sbrivala). Il lavoro a mano proseguiva modellando il pane a forma di grandi “S”, croccante all’esterno e morbido all’interno, e di ‘nciminati, ossia grandi pagnotte di cui diremo più avanti.



<DA http://shinilhigh.or.kr/board/view/>


Le forme di pane si lasciavano quindi lievitare sotto teli di cotone e pesanti coperte, per poi essere passare nel forno a legna, adeguatamente riscaldato per una cottura perfetta. Partiamo dal salato, con i piatti tipici (alcuni dei quali scomparsi dall’uso comune):

  • ‘Mpanate e Pastizza, principi della tavola natalizia, sono grandi rivolti di pasta di pane ripieni di riso o pasta, patate, pangrattato e carne (nel caso delle ‘mpanate), verdure (nel caso dei pastizza);
  • ‘Nciminate, pane tradizionale cotto rigorosamente nel forno a legna, anticamente realizzate con la farina di crusca;
  • ‘Nfigghiulate, grandi sfoglie ripiene di ricotta, riso, uova, formaggio, pomodoro, anch’esse tipiche della tradizione natalizia;
  • Caturru, antico piatto oggi quasi scomparso dalle tavole degli sciclitani, realizzato con grano duro stritolato con la pietra e cotto in acqua con pezzi di carne (o pesce), erbe aromatiche, pezzi di pomodoro, olio d’oliva, pepe e caciocavallo;
  • Cuscusu, fior di farina ridotto in briciole, condito con verdure e carne;
  • Pasta che Simigni, minestra con legumi ed erbe spontanee condita con olio, pepe e formaggio;
  • Fave pisciate, fave messe a mollo in acqua, fatte asciugare al sole e poi cotte al forno;
  • Cuoddu chinu, collo di gallina o di pollo ripieno di riso, frattaglie, uova sode, formaggio, pepe;
  • Sangieli, sanguinaccio cotto con aromi dentro budella di maiale;
  • I Maccarruna ri San Guglielmo, pasta di grano duro realizzata a mano e modellata mediante appositi “pettini”, la loro origine è molto antica, risalente al XV secolo;
  • Cannaruzzuna co sucu fintu, pasta di grano duro a forma di maccheroni rigati, cotta nel latte e condita con soffritto di cipolla, aglio, vino, estratto di pomodoro, ricotta, formaggio grattugiato e pepe;
  • Miliddi, pasta di pane cotta a forma di grandi grissini, anticamente arricchita con anice, zucchero o miele;
  • Cucciddati scaniati, sorta di ciambelle di pane realizzate mediante una lavorazione certosina di pane scaniato, strutto, pepe nero, formaggio grattuggiato e salsiccia. Nella variante moderna è presente anche la ricotta.

Dopo questo veloce e invitante excursus tra i piatti salati dell’antica tradizione contadina di Scicli, passiamo in rassegna i dolci tipici:

  • Cubbaita, croccante di semi di sesamo e miele, arricchito con pezzi di mandorle e scorzette d’arancia, un dolce dalla palese derivazione araba;
  • Cuccìa, grano fermentato cotto in acqua (o vino) e miele;
  • Mustazzola, dolci molto originali preparati con farina, miele (o vino cotto) e mandorle, il cui nome deriva dai grandi baffi (mustacchi) dei temutissimi Turchi;
  • Jadduzzi, piccoli involti di pasta ad “S” ripieni di miele (o mosto) e farina, coperti dalla marmara, una glassa di zucchero, albumi d’uova e succo di limone;
  • Viscotta Ricci, i più nobili tra i biscotti tipici e di gattopardiana memoria, sono realizzati con mandorle, zucchero e miele (anticamente veniva aggiunto anche un pizzico di rosolio giallo), detti “ricci” per la loro forma particolare ottenuta da un attrezzo metallico con bocchetta a forma di stella;
  • Biancomangiare, budino realizzato con latte di mandorla, amido, zucchero e cannella, fatto raffreddare dentro apposite formelle, adagiato (nella sua ricetta originale) su foglie di limone cosparse di granelli di zucchero;
  • Firrignozza, biscotti a forma di grandi savoiardi morbidi, realizzati con farina, amido, latte e uova, da inzuppare nel caffelatte;
  • Cuddureddi, dolce unico e complesso, tipico del periodo della vendemmia, è realizzato dalla cottura di piccoli gnocchi di pasta (preparati rigorosamente a mano) nel mosto bollente trattato con polvere di pietra. Una volta cotti, vanno serviti in scodelle di terracotta e conditi con granella di mandorle tostate e tritate e un pizzico di cannella. Nella ricetta tradizionale si cospargeva anche dello zucchero, mentre nella versione più moderna si preferisce la scorzetta di limone;
  • Teste di Turco, grandi bignè ripieni di crema, cioccolato o ricotta (oggi è possibile gustarli con chantilly, pistacchio, nocciola, ecc.), rappresentano forse il dolce più noto ai turisti. La loro forma rimanda alle teste mozzate dei “Mori”, una sorta di trofeo di guerra dei musulmani sconfitti, secondo la leggenda, grazie all’intervento della Madonna delle Milizie nel 1091 sulla spiaggia di Micenci;
  • Cucciddatu che nuciddi o che miennili, ciambelle di pasta di pane che si infornavano per i più piccoli, decorate con noccioline o mandorle rigorosamente con la punta all’insù. Una sorta di dolce povero in tempi in cui lo zucchero era un lusso per pochi.
  • Scacce, rotoli di finissima pasta di pane conditi con ogni ben di Dio: cipolla e pomodoro, ricotta e salsiccia, prezzemolo e cipolla, baccalà, ecc.

Una cucina speziata, saporita, capace di produrre cose buone partendo da ingredienti semplici e poveri. Una cucina tutta da provare, all’ombra del Commissariato di Montalbano, in un’aria impreziosita dell’alito onnipresente del Mare Nostrum.

<DA http://shandora.it/blog/>



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