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CUCINA ITALIANA_2021

석류시럽 곁들인 앙증맞은 판나꼬따,PANNA COTTA AL COCCO CON SCIROPPO DI MELAGRANA



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PANNA COTTA AL COCCO CON SCIROPPO DI MELAGRANA
-석류시럽 곁들인 앙증맞은 판나꼬따-



석류를 아는 순간부터 질투와 증오를 부른다니...?


석류의 효능을 살펴보니 만병 통치약처럼 여겨진다. 적당량을 섭취하면 피부 미용과 노화방지는 물론 면역력을 돋구고, 다이어트와 고혈압에 좋을 뿐만 아니라 피로회복에 큰 도움을 준다고 한다. 뿐만 아니라 전립선암의 예방과 함게 발기부전을 치료하는 안토시아닌과 탄닌과 같은 항산화 물질이 포함돼 있고, 탈모증을 예방하며 숙취 해소까지...석류에는 천연 여성 호르몬 물질인 에스트로겐이 풍부하고 각종 미네랄과 비타민 및 칼슘이 풍부해, 가까이 두고 자주 섭취하면 이웃으로부터 질투와 증오를 부를 수 있단다. 


엔사이크로페디아(http://100.daum.net/encyclopedia/view/b12s0034b)에 따르면 예언자 마호메트는 "질투와 증오를 없애려면 석류를 없애라"고 말했다고 한다. 이유가 무엇이겠는가. 남들 보다 더 젊고 아름다우며 건강하면 천하를 얻은 듯...이웃 사이트에 놀러 다니며 언어 학습과 함께 중요한 정보까지 챙기는 것. 판나꼬따에 석류를 곁들이면 내일부터 당장 이웃의 질투로부터 벗어나지 못할까...? ^^ 내가 꿈꾸는 그곳 번역본 보기




Punica granatum

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Melograno
Illustration Punica granatum1.jpg
Punica granatum
Stato di conservazione
Status iucn3.1 LC it.svg
Rischio minimo[1]
Classificazione Cronquist
DominioEukaryota
RegnoPlantae
DivisioneMagnoliophyta
ClasseMagnoliopsida
OrdineMyrtales
FamigliaPunicaceae
GenerePunica
SpecieP. granatum
Classificazione APG
OrdineMyrtales
FamigliaLythraceae
Nomenclatura binomiale
Punica granatum
L.

Il melograno (Punica granatumL.) è una pianta della famiglia delle Punicaceae (o Lythraceae secondo la classificazione APG), originario di una regione geografica che va dall'Iran alla zona himalayana dell'India settentrionale, e presente sin dall'antichità nel Caucaso, e nell'intera zona mediterranea.


Origine e diffusione[modifica | modifica wikitesto]

Il melograno è ritenuto originario dell'Asia sud – occidentale, ed è stato coltivato nelle regioni caucasiche da tempo immemorabile. In Asia è attualmente coltivato ampiamente in ArmeniaAzerbaigianIranAfghanistanTurchiaIsraele, e nelle parti più aride del Sud-Est Asiatico, dall'Arabia al PakistanIndiaMalesiaIndonesia; è inoltre coltivato nelle regioni aride dell'Africa tropicale[2]. È presente da epoca preistorica nell'area costiera del Mediterraneo, risulta storicamente che vi sia stato diffuso dai Fenici, dai Greci e in seguito dagli Arabi. Fu introdotto inAmerica latina dai colonizzatori spagnoli nel 1769, ed è attualmente coltivato ampiamente in Messico e, negli Stati Uniti, in California edArizona.[3]

Il nome di Genere Punica deriva dal nome romano della regione geografica costiera della Tunisia, e della omonima popolazione, altrimenti chiamata cartaginese (popolazione di estrazione fenicia che colonizzò quel territorio nel VI a.C.); le piante furono così nominate perché a Roma i melograni giunsero da quella regione.

Il nome "melograno" deriva dal latino malum ("mela") e granatum ("con semi”). La stessa origine è riconosciuta anche in altre lingue come in inglese “Pomegranate”, ed intedesco “Granatapfel” (mela coi semi). In antico inglese era noto con il nome di "apple of Grenada" (mela di Granada).

La città spagnola di Granada ha infatti nello stemma un frutto di melograno, in spagnolo (granada) ed in antico francese (la grenade) significavano appunto melograno, la denominazione della città spagnola deriva dalla introduzione del frutto operata dalla dominazione moresca nella penisola iberica.

In italiano il nome melograno è derivato direttamente dal latino: malum punicum o malum granatum; in italiano il frutto è nominato col termine di “melagrana”.

Una radice del nome del melograno deriva dall'antico egiziano rmn, da questo deriva l'ebraico rimmôn, e l'arabo rummân.

Dall'arabo il termine passò ad altre lingue, come il portoghese (romã),[4] nella lingua della Cabilia (rrumman) e nel maltese ("rummien").


Foglie e frutti[modifica | modifica wikitesto]

Melograno, illustrazione di Otto Wilhelm Thomé, 1885
Fiori e foglie di melograno

Le foglie sono opposte o sub opposte, lucide, strette ed allungate, intere, larghe 2 cm e lunghe 4–7 cm.

fiori sono, nella specie botanica, di un vivo colore rosso, di circa 3 cm di diametro hanno tre-quattro petali (molti di più in alcune varietà orticole, alcune varietà da orto o da giardino sono coltivate solo per i fiori, alcune varietà sono a colore bianco o rosato).


Il frutto (melagrana o granata) è una bacca (detta Balausta) di consistenza molto robusta, con buccia molto dura e coriacea, ha forma rotonda o leggermente allungata, a volte sub–esagonale, con diametro da 5 a 12 cm e con dimensione fortemente condizionata dalla varietà e, soprattutto, dalle condizioni di coltivazione. Il frutto ha diverse partizioni interne robuste che svolgono funzione di placentazione ai semi, detti arilli (fino a 600 ed oltre per frutto) [5] separati da una membrana detta cica. I semi, di colore rosso, in alcune varietà sono circondati da una polpa traslucida colorata dal bianco al rosso rubino, più o meno acidula e, nelle varietà a frutto commestibile dolce e profumata. Il frutto reca in posizione apicale (opposta al picciolo) una caratteristica robusta corona a quattro-cinque pezzi, che sono residui del calice fiorale.


Dal nome del frutto "granata" trae origine il sostantivo con cui, originariamente e ancora oggi nel linguaggio comune, viene indicata l'attuale bomba a manoche, similmente a una melagrana, nelle sue prime forme era costituita da un guscio rotondeggiante contenente un grande numero di pallini di metallo che, in seguito all'esplosione dell'ordigno, venivano proiettati all'intorno per arrecare danni e ferite ai soldati avversari.[6]


Sempre dal colore del frutto trae origine il rosso granata, un rosso scuro tendente al bordò particolarmente noto per essere il colore sociale della squadra di calcio del Torino frequentemente appellata come i granata.[7]

<DA https://it.wikipedia.org/wiki/Punica_granatum>




<DA https://it.wikipedia.org/wiki/Punica_granatum#/media/File:Illustration_Punica_granatum1.jpg>



PANNA COTTA AL COCCO CON SCIROPPO DI MELAGRANA

Quando un regista vuole emozionare, di solito lo fa partendo da dinamiche abbastanza standard e poi personalizzando secondo la propria linea autoriale.


Così, probabilmente, in una scena thriller ci mostrerà il protagonista e quello che vede e poi mostrerà a noi e solo a noi un pericolo o un elemento che creerà un senso di ansia e preoccupazione (suspence). Le inquadrature si faranno via via più rapide, la musica più inquietante, il ping pong tra campo e controcampo veloce e lo spettatore passerà dalla preoccupazione all’ansia e fremerà sulla poltrona, perché intuisce quello che sta per accadere al suo eroe e non può avvisarlo, non può fermare quello che accade, e anche se intuisce quello che sta per accadere non sa se le sue intuizioni sono esatte o se improvvisamente interverrà un altro elemento o personaggio a cambiare il corso della scena.


Probabilmente prima di questa scena al cardiopalma, il bravo regista ha fatto in modo che simpatizzassimo, o in alcuni casi addirittura ci innamorassimo del protagonista, per aumentare il nostro senso di sgomento.


Il cinema è sicuramente pathos e per me è senza dubbio l’arte (insieme alla letteratura) che più di tutte mi esalta e mi fa provare emozioni.

Quando un regista è molto bravo a fare quello che vi ho spiegato sopra, probabilmente vi troverete a stringere i braccioli della poltrona, serrare i denti e probabilmente anche a versare delle giuste lacrime.


Quando un regista riesce a fare tutto questo, allora vuol dire che è abile nello sviluppo della drammatizzazione di un racconto, che per sua natura, anche se dovesse prendere spunto da un fatto reale, sarebbe comunque un racconto artefatto, costruito e narrato secondo la visione personale del narrante (il regista).


Tenendo a mente tutte queste cose, io circa 8 anni fa uscii dalla sala dove davano la prima di Gomorra (il film), completamente shocckata.

Tutti gli artefizi cinematografici, tutte le tecniche conosciute e usate dai registi per fare in modo che il pathos venisse fuori e ti divorasse, non erano stati usati. I personaggi erano rivoltanti indistintamente e le scene si susseguivano senza che lo spettatore potesse intuire, o prevedere o provare alcun sentimento a parte il disgusto.


C’è una scena in particolare dove due ragazzini siedono dietro un muretto e poi arriva uno che prende e spara ad entrambi in testa senza pietà., poi li carica su una gru in quello che ricordo (ma potrei sbagliarmi) come un lunghissimo piano sequenza (cioè una scena in cui la macchina da presa non fa stacchi e segue la storia così come accade) di puro orrore e assenza totale di emozioni.


In un film normale, nonostante i ragazzi fossero due camorristi in erba per cui sarebbe stato difficile simpatizzare, un regista avrebbe drammatizzato la scena mostrandoci l’arrivo del killer e facendoci preoccupare un pochino per quello che stava per accadere, volendo farci un regalo, ci avrebbe almeno preparati alla morte brutale di due esseri umani.


<DA http://mangiarebuono.it/i-cibi-portafortuna-per-il-nuovo-anno/>


Ma in Gomorra tutto questo non c’è, quasi a voler far sentire lo spettatore come se stesse vivendo quella scena, quasi come se quella scena avesse la pretesa di essere la realtà esattamente come accade, quasi come se quel film con i personaggi fosse in realtà un documentario brutale di quello che accade alla vita delle persone reali nelle organizzazioni criminali.


Confesso che pensai (e lo penso tutt’ora) che Garrone avesse prodotto un capolavoro neorealista, ma ne ebbi paura.

Per la precisione mi immaginai essere una non napoletana che guardava il film e pensai che a Napoli e nelle sue vicinanze non ci sarei voluta passare neanche con il treno per paura che scendendo mi sarei trovata nel far west metropolitano di un luogo nelle mani di persone ignoranti, perverse e animalesche.


Ma io in effetti uscii da quel cinema napoletana come ci ero entrata e per le strade del centro in un venerdì qualsiasi del 2008, non avevo più paura o più coscienza di qualche ora prima.


Mi incamminai verso la macchina a passo lento, mi fermai al bar a prendere un caffè e poi tornai a casa nella solita maniera, con la solita tranquillità e una sorta di routine di movimenti e strade da percorrere.


Ma Gomorra mi aveva scosso perché un film che non sembra un film, aveva mostrato il lato osceno di una città, la mia, che cola sangue, brutalità e non sense, mettendomi di fronte ad una realtà che in vita mia non ho mai vissuto, mai veduto, mai neanche percepito con tanta forza.


Chiunque viva a Napoli vive un conflitto quotidiano, chiunque viva qui vive la sua più grande storia d’amore fatta come da prassi da momenti di pura libido alternati a momenti di puro odio.


Chiunque sia nato e cresciuto qui sa che dovrà fare i conti con un luogo dove le contraddizioni sono la regola e la coerenza un’eccezione, ma Garrone aveva giocato una carta scorretta, aveva portato al cinema una storia (senza ipocrisie una storia che con il reale ci stava a braccetto), facendo in modo che lo spettatore, cui viene servita una porzione di realtà, fosse indotto a pensare che quella fosse proprio la realtà e non solo una sua parte.


Garrone è stato geniale e io glielo riconosco, ma insieme a questa devozione ci ho mischiato una buona dose di disprezzo, perché se io che a Napoli ci vivo sono caduta nell’inganno, se io che la realtà non la vivo come una porzione di essa, ma come la totalità delle cose che qui accadono, sono uscita dal cinema con un senso di shock e di orrore, un non napoletano infarcito di pregiudizi e voci di corridoio cosa avrebbe pensato?





Devo fermarmi, ma non per sempre. Erano anni che pensavo queste cose e mi sono tornate alla mente quando un mercoledì, precisamente quello della settimana scorsa, sono stata al cinema a vedere Suburra. Insomma questo è un post che più lungo di così non posso fare (che poi chissà che non vi siate stancati già da molto e non ve ne freghi un cappero) e che quindi divido in 2 (o forse più puntate). Ma la prossima (che mi cadano le unghie dei piedi) sarà venerdì, parola di lupacchiotto. (e andate al cinema, che vi fa bene).



Panna cotta vegana al cocco (con sciroppo di melagrana)

Ingredienti per 8 bicchierini

Per la panna cotta:

400 ml di latte di cocco (1 lattina)

200 ml di panna vegetale di soia

1 cucchiaio di zucchero di canna

1 cucchiaino (3 gr) di agar agar

½ baccello di vaniglia e i suoi semi

Per lo sciroppo di melagrana

150 gr di melagrana (al netto degli scarti)

250 ml di acqua

3 cucchiai di zucchero di canna

½ bacca di vaniglia e i suoi semi

Per la decorazione

melagrana fresca a piacere

N.B. se non siete vegani e volete procedere con ingredienti tradizionali, o se avete difficoltà a reperire gli ingredienti, usate della comune panna da cucina e il medesimo quantitativo di gelatina in polvere o un foglio di colla di pesce da 5 gr reidratato in acqua e ben strizzato.




Se la cucina vegana vi sembra troppo rigida, se proprio non fa parte delle vostre regole, io vi capisco e anzi vi capisco benissimo perché non sono neanche vegetariana, figuriamoci vegana.


Ma se siete delle persone che non fanno della rigidità uno stile di vita e ogni tanto e senza eccezioni amate scoprire che anche se una cosa non fa parte delle vostre abitudini, alla fin fine si rivelerà una risposta golosa ad una domanda che non vi eravate posti, allora cedete alla curiosità e seguitemi nella ricetta facile e veloce di questa panna cotta al cocco e sciroppo di melagrana, da cui nascerà un dolcetto al cucchiaio di irresistibile bontà e anche di grande bellezza.


Devo confessarvi che ho rifatto questo dolce tre volte perché alla prima avevo toppato completamente il quantitativo di agar agar (un addensante naturale), producendo anziché una panna cotta un marmo cotto 😉

Ma consistenza a parte, il mio dolce era troppo buono per arrendersi e così ho ritentato producendone uno di consistenza gradevolissima, che purtroppo per le mie foto è stato spazzolato prima che potessi immortalarlo nelle foto che invece vedete qui.

Se volete seguite anche la video ricetta!



Sappiate che si prepara in 10 minuti e che potete prepararlo la mattina per la sera e lasciarlo in frigo pronto all’uso.



Cominciamo

Sgranate un melograno e mettetelo in un pentolino insieme allo zucchero di canna, l’acqua e la stecca di vaniglia. Portate a bollore e fate cuocere per 10 minuti.

In un altro pentolino versate il latte di cocco, la panna vegetale, lo zucchero, l’agar agar e la bacca di vaniglia e mescolate con una frusta per amalgamare tutti gli ingredienti (mescolate con vigore per far disciogliere la panna di soia, che per consistenza non si avvicina neanche lontanamente a quella di latte vaccino).

Mescolate con la frusta fino al raggiungimento del bollore e spegnete subito.


Rimuovete la bacca di vaniglia e versate la panna cotta nei bicchierini (riempendoli di 2/3) quando è ancora calda, ma aspettate che raggiunga temperatura ambiente prima di metterla in frigo.

Mettete con lo stesso criterio in frigo anche lo sciroppo dopo averlo filtrato e lasciate che si freddi il tutto per almeno due ore.

Trascorso questo tempo, versate un po’ di sciroppo in superfice e aggiungete della melagrana fresca.

Ricordatevi che potete fare questo dolce anche senza usare prodotti vegani, ma ricordatevi anche che un pizzico di curiosità nella vita ci sta sempre bene.

<DA http://www.lacaprino.ifood.it/2015/10/gomorra-panna-cotta-al-cocco-con-sciroppo-di-melagrana.html>



내가 꿈꾸는 그곳의Photo이야기 



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